_Lo sguardo di un insider
_Una guida contemporanea al meglio di Pavia e la Certosa
_otto passeggiate lente tra arte, musei, racconti, buon cibo e con l’anima a posto.
_Svelano i loro luoghi del cuore di Pavia: Massimo Bocchiola, Barbara Katia Guglielmana, Piersandro Pallavicini, Flavio Santi e Filippo Ticozzi.
BIO
Federico Manicone è un pavese di importazione. A Pavia è venuto per studiare Scienze politiche, poi ha conosciuto Valentina e da allora non se n’è più andato. Lavora in editoria e ha collaborato con studi editoriali, case editrici, testate giornalistiche, agenzie di traduzione. Nel corso del tempo ha messo su famiglia e si è specializzato in editoria multimediale e audiovisiva, con la testa in giro per il mondo e i piedi ben piantati a Pavia.
Gli Imperdibili di Pavia
Gli imperdibili di Pavia
1.La nebbia. Nelle città di nebbia, oltre ai luoghi comuni che valgono dappertutto – come le mezze stagioni che non esistono più – ce ne sono alcuni del tutto originali. Per esempio, la nebbia che “non è più quella di una volta”. Che tipicamente viene fuori nelle giornate in cui non si riesce a vedersi i piedi e si resta un po’ così, a chiedersi chissà com’era la nebbia originale. La nebbia a Pavia non è un fenomeno climatico: è un elemento del paesaggio. Certe giornate intere di nebbia, quelle in cui il sole fa l’occhiolino in mezzo al cielo come una moneta pallida a mezzogiorno e poi scompare ancora, capitano in autunno e inverno, ma la nebbia a Pavia può presentarsi in qualsiasi momento e la città assume un fascino particolare: i contorni sfumano, gli spigoli si stondano, le ombre si allungano. È una specie di trucco scenografico. Gli appassionati distinguono tra nebbia e scarnebia, che è quel particolare tipo di nebbia bagnata, quella che non piove, ma la città è come appoggiata sul fondo di un lago. Quella che: che faccio, prendo l’ombrello? Eh, sì: conviene prenderlo.
2. Le osterie. Quei giorni lì, quando fuori c’è la nebbia, è bello rintanarsi in una delle tante osterie che si trovano in città. Ce n’è di tutti i tipi: quelle storiche e quelle che si danno un tono; quelle che hanno visto passare grandi nomi e quelle sconosciute; quelle popolari e quelle più eleganti. Molte sono in centro, altre nella zona del Borgo. La cucina è quella tipica pavese, con molte concessioni all’Oltrepò. L’ambiente è quasi sempre familiare, con richiami al mondo contadino: le vecchie credenze della nonna, gli attrezzi da lavoro, i tavoli di legno e le sedie impagliate. Ci si scalda con il vino e con l’atmosfera familiare. E, una volta usciti, affrontare la nebbia non è poi tanto male.
3.Perdersi tra i vicoli. Ci sono ancora vicoli che non conosco. Ogni tanto ne scopro uno. Mi ci infilo come per inseguire un filo immaginario per terra. Ero in centro e mi ritrovo sul Lungo Ticino. Perdersi tra i vicoli è una vera e propria attività. Qualcosa che non potete evitare di fare, perché altrimenti vi perdereste un pezzo di città. Dovrebbero dichiararli monumento cittadino e valorizzarli, come le chiese, il Castello, la Certosa, l’università. I vicoli di Pavia corrono dietro ad antiche absidi, gli alti muri che nascondono giardini, i soffitti a cassettoni che si intravedono da certe finestre, i ciottoli di fiume. Sembra di inseguire a ritroso la storia della città. Hanno tracciati imprevedibili: svoltano all’improvviso e vi trovate in cima a una scalinata. Oppure ne inseguite uno che si apre su una piazza da cui partono altri vicoli che sono rinnovati inviti a perdersi. Come in un infinito labirinto.
4. I tramonti. Bisogna farci caso. Perché non parlo del tramonto vero e proprio, quando il sole è già sceso e tutto perde il colore del giorno. Parlo dell’attimo prima, che cambia impercettibilmente di giorno in giorno, quando il sole ha appena varcato la soglia dell’orizzonte e il blu del cielo scolora nel bianco e poi nel giallo degli ultimi raggi. In primavera e in estate, la città è inondata dalla luce rossa. Non importa dove vi troviate. Le facciate delle chiese rosse avvampano: Santa Maria del Carmine, il duomo, San Francesco, San Teodoro. San Michele diventa dorata, la pietra porosa si trasforma in metallo lucente. Il sole che cala oltre l’orizzonte si vede benissimo dal ponte Coperto, il profilo blu delle Alpi, il nastro dorato del Ticino. E il vociare delle rondini che si inseguono, ai giardini del Castello, in piazza San Michele, tra i vicoli.
5. Il Borgo Basso. Se ne sta lì, sulla sponda opposta alla città. Il fiume in mezzo è davvero un confine. Lo spirito del Borgo è un po’ quello di starsene in disparte. Un borgo di case un tempo legate all’attività del fiume: ci vivevano barcaioli, pescatori, lavandaie. Sembra una cosa separata dalla città. Eppure provate a immaginare Pavia senza il Borgo, senza le sue case colorate, senza le luci che si accendono di sera, come un presepe di pianura. Provate a immaginare lì dove ci sono le case, gli alberi e l’erba – che sono solo qualche metro più in là. Pavia senza il Borgo non sarebbe la stessa. Volete la prova? Andate sulla sponda del Ticino dal lato del Borgo. Il ponte Coperto alle spalle e camminate senza voltarvi. Quando siete giunti alla fine di via Milazzo, voltatevi di scatto. Ed ecco la città. Da provare con il tramonto.
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Le cinque panchine più rilassanti della città
D’accordo camminare, ma se voleste fermarvi un pochino a riposarvi, dove potreste farlo? Intendiamoci, potreste fermarvi qua e là: su una panchina di pietra in piazza della Vittoria o sotto gli alberi di viale Matteotti. Ma seduti sulla prima potreste non riposare affatto, con tutto il viavai della piazza e il ritrovarsi degli aperitivi, e in viale Matteotti è vero che stareste all’ombra dei grandi alberi, ma in mezzo a due corsie di una delle arterie di traffico più utilizzate dai pavesi. Invece, ecco qui cinque suggerimenti su dove trovare un po’ di quiete e di riposo, nonostante siate sempre in pieno centro.
1. Panchina in bilico. Nelle calde passeggiate estive, quando anche in città non c’è un’ombra e l’aria è densa, c’è un angolo sempre ombroso e fresco: sono le panchine di piazza Leonardo da Vinci. È un po’ come stare in bilico tra le varie parti della città: da una parte la Faramannia, dove si erano insediati i Longobardi, e la cripta di Sant’Eusebio, dall’altra l’abitato come si era sviluppato ai tempi di Roma. E poi l’università, la sede originale dello Spedale San Matteo, le torri. E ancora gli interventi urbanistici novecenteschi con la costruzione del palazzo delle Poste. Basta cambiare angolo e si guarda un pezzo di storia della città sotto le chiome folte di questi grandi alberi che sembrano sempre muoversi anche quando l’aria si taglia con un coltello e regalano un po’ di fresco e di riposo.
2. Panchina raccolta. Poco distante da piazza Leonardo da Vinci, all’interno dell’università, c’è il cortile delle Magnolie. Non potete sbagliare. Un pozzo, grandi alberi di magnolia al centro, un glicine che corre lungo il porticato. Quando fiorisce il profumo provoca capogiri. È un cortile interno dell’università, il movimento di Strada Nuova non arriva a infastidire fino qui. Al più qualche studente si sposta da un’aula all’altra. Poi è silenzio. Gli studenti vengono qui, su questi muretti, spalle alla colonna e studiano. Chi ha voglia di fare chiasso fa su le sue cose e va da un’altra parte. Siamo dentro l’università: sembra il chiostro di un’abbazia.
3. Panchina tropicale. Per una breve sosta, spostandosi da un punto all’altro della città, di monumento in monumento. I giardini del Castello non sono particolarmente grandi, né sono i giardini in cui entrate e dimenticate il caos all’esterno. Però. In primavera i pavesi vanno per godersi la fioritura degli alberi. Le aiuole sono sempre molto curate e si può stare sul prato a prendere un po’ di sole o di fresco sotto un albero. Da una panchina poi, basta un’occhiata al Castello e si resta a guardarlo, la sua architettura, le torri minacciose e la loro eleganza, i rivellini, le grandi finestre. Secoli di storia che parlano e a quel punto il rumore tutto intorno scompare. Se, all’improvviso, sentite un verso strano o tra i rondoni che volano vi è parso di aver visto un altro uccello che però non dovrebbe vivere qui, non state sbagliando: una colonia piuttosto popolosa di pappagalli ha trovato ospitalità qui e anche in altri punti della città.
4. Panchina nascosta. Forse è l’angolo più rilassante di Pavia, pur essendo in pienissimo centro: tra il Municipio e il collegio
Ghislieri. Pare che anticamente un ricco mecenate qui avesse fondato un collegio per dare ospitalità a studenti poveri. Annessa c’era anche una chiesa dedicata alla Beata Vergine, poi detta ‘della Rosa’. Non resta traccia di nulla se non il nome. L’ombra è assicurata dai grandi alberi, raramente passa qualche auto, ma le vie qui sono strette e prendono traiettorie contorte: chi passa deve andare piano per forza. Da qui si va al Municipio e all’orto botanico o in piazza Ghislieri, con i collegi e il conservatorio. Dess poi, direbbe un pavese. Che uole dire: senza fretta, adesso-poi-dopo vi potete alzare. Godetevi il fresco qui e ora, in questa piazzetta.
5. Panchina con panorama. Piazzale Ghinaglia, dal lato del Borgo Basso però. Non so perché, ma ogni volta che mi fermo su questa panchina mi viene in mente la scena di Manhattan di Woody Allen – Ike e Mary anche loro su una panchina all’alba e il profilo della città mentre fa giorno. Ok, forse è un po’ troppo ma è sufficiente sedersi qui, dietro questa ringhiera. In basso scorre il fiume, a sinistra lo sguardo è chiuso dal ponte e non resta che guardare il profilo della città. Il traffico sull’altra sponda è fatto di formichine in fila che non arrivano qui. Qualsiasi cosa succeda là non è qualcosa che possa riguardare chi sta seduto da questa parte. Il panorama è perfetto: si vede ogni guglia, ogni campanile, ogni torre, ogni cupola. Come dice Ike: “Non importa cosa dicono gli altri: questa città è un vero knock-out”. Almeno, da qui.
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